Nelle opere di Serradifalco gli elementi riconoscibili sulla superficie terrestre diventano sintagmi compositivi, iconici e concettuali, per attingere ad una evocazione simbolica: vengono create immagini di richiamo ancestrale, onirico, che travalicano l’apparente oggettività fotografica.
Ma simboli e sogni sono “relativi” ed intimamente legati alla cultura dell’osservatore: esseri umani di culture diverse vedono le stesse cose, hanno le stesse suggestioni?
L’artista propone così anche un sottile gioco tra i confini della mente e quelli della terra.
Nel comporre le sue opere stabilisce i fittizi confini del campo di visione dello scatto satellitare, che superano o inglobano i confini geografici e politici di micro e macro-aree, così come i limiti delle formazioni naturali e artificiali, alterandone la dimensione percepita.
Sono fiumi che diventano fiori ed alberi, elementi geografici che diventano astrazioni pittoriche, degrado del paesaggio che diviene decorazione, isole, monti e spiagge tramutati in esseri viventi.
Sono tracce non naturali – agglomerati urbani, coltivazioni agricole, porti, industrie – che da segni dell’antropizzazione diventano tessere di mosaico per figure antropomorfe o zoomorfe, che variano dal benevolo al maligno, dalla tenerezza all’ironia.
Sono ghiacci polari che disgregandosi fanno da sfondo – e minaccia – a metropoli “affannate e consumiste”, dove l’uomo sembra il prossimo “orso in estinzione” e una distesa immacolata finale appare come il primitivo foglio bianco da cui ricominciare, disegnando un nuovo paesaggio.
Sono bandiere di nazioni che sottendono nei loro campi cromatici le immagini di altre terre, in una globalità dove – oltre che cittadini – si è primariamente abitanti della terra.
L’artista ci fa toccare, con partecipata meraviglia, sia la realtà della terra che quella dei sogni.
Liberi di interpretarne le forme, ci resta una sorta di incanto, aperto alla riflessione sul concetto di “bello in Natura”, laddove proprio nei versi del Cantico delle Creature – in cui “belli” sono nominati da San Francesco il sole, le stelle e il fuoco, proclamandone la Lode – potremmo individuare gli albori dei canoni di bellezza naturale nella nostra cultura figurativa.
Questo gioco quasi illusionistico dei confini ci parla della relatività dei nostri punti di vista, ma anche ci rappresenta il principio universalmente valido della sostanziale unità nella diversità della Terra e delle genti.
Ci permette di leggere la simbiotica contaminazione fra caratteri geografici e biologici, che appaiono alla base dell’interazione fra le culture e della biodiversità.
Del resto, l’artista è siciliano e ha “respirato” l’aura della confluenza in Sicilia di molteplici culture, che hanno via via dato luogo a forme “altre”, traducendosi in mosaici, decorazioni, intarsi, sculture, iconografie, cromatismi accesi, spesso alla ricerca della meraviglia e del sorprendente: sono i caratteri che appaiono come la scaturigine del suo lavoro e del suo linguaggio, con la naturale contezza dell’essere ogni cosa, nel mondo, connessa.
Brescia, Agosto 2020